Oggi mi piacerebbe parlare di un tema che mi sta molto a cuore, un tema sempre più attuale e spesso sottovalutato. Vorrei parlare dei nostri figli e degli effetti della paura del giudizio sulla loro vita.
Prima di entrare nel vivo della trattazione, vorrei, però, che leggeste di seguito un breve passo del mio libro “Bravo….continua così” in cui a parlare è Fabrizio, il protagonista principale del racconto. Un protagonista che nel bene e nel male mi somiglia molto, quasi a far pensare che in quello che dice ci sia “a volte” qualcosa di autobiografico. Fabrizio sta parlando di suo padre:
- Ma mio padre non era tipo da godersi l’attimo, la gioia del momento. Il dovere era dovere e non c’era tempo da perdere. Così ogni volta, appena tornato a casa dopo aver superato un esame, il suo agognato “Bravo… continua così” veniva subito seguito da “allora Fabrì, quando è il prossimo?”. Aveva fretta papà, voleva vederlo subito quel figlio Ingegnere. All’inizio, non posso negare che la domanda mi risultava intollerabile, sarebbe meglio dire che mi faceva letteralmente incazzare; ma come …. avevo appena finito, ero esausto per lo studio e lo stress e già mi chiedeva quando avrei affrontato il prossimo esame? Cosa ero veramente per lui? Quella domanda mi faceva sentire solo un mezzo per il suo fine: i miei diritti, premio per i doveri assolti con diligenza, erano completamente dimenticati. Dove era finito il diritto del figlio di essere amato dal proprio padre al di là dei meriti scolastici? Dove era finito il sacrosanto diritto di avere un po’ di spazio tutto mio per godere la gioia del momento senza se e senza ma? Avrei voluto gridarglielo in faccia di lasciarmi in pace, di amarmi senza la necessità di mostrargli il libretto degli esami, di farmi vivere la mia gioventù tra quei doveri stabiliti da lui e quei diritti almeno concordati con me. Avrei, ma non lo feci mai: avevo paura di riperdere quel “Bravo… continua così” che mi ero riconquistato con tanta fatica.
Riuscite ad avvertire, tra le righe, cosa vorrebbe dire Fabrizio al padre in questo breve pezzo che avete appena letto? Non riuscite ad ascoltare le sue parole?
Fabrizio gli sta urlando con tutte le sue forze: papà perché non ti piaccio? Perché non mi accetti? Cosa devo fare per farmi accettare da te? L’unica cosa che voglio è che tu mi accetti così come sono: non giudicarmi, faccio tutto quello che vuoi per ricevere un tuo “Bravo…continua così”.
Non vi sembra che Fabrizio sia come tanti, troppi, dei nostri figli, che fanno delle cose che non piacciono, spingendosi verso confini sconosciuti, cose che non avrebbero mai fatto se fossero accettati incondizionatamente per quello che sono?
Non è forse vero che spesso noi genitori facciamo voli pindarici su come vorremmo i nostri figli? Li priviamo della loro libertà di diventare quello che desiderano perché abbiamo paura, paura che diventino qualcosa che a noi non piace o, peggio, diversi, diversi dalla massa, da quello che la società ci consiglia, impone a volte di diventare. Spesso la nostra arma per dissuaderli, per farli andare avanti sulla strada che noi vorremmo perseguissero è il NOSTRO GIUDIZIO. Inconsapevolmente li facciamo sentire giudicati, creando una barriera, invisibile, dove da una parte ci siamo noi: i giudici e dall’altra loro a subire i nostri cenni, le nostre parole di approvazione e disapprovazione. E i nostri ragazzi lo avvertono questo faro giudicante che gli puntiamo addosso e reagiscono, reagiscono come sanno, come possono, alcune volte secondo due pattern che reputo alquanto pericolosi:
- Pattern violento. “Vaffanculo, non me ne frega niente di quello che pensi tu, io faccio quello che voglio. Lo faccio lo stesso”. Sono questi i casi in cui si creano tra noi e i nostri figli delle barriere difficili da abbattere, a volte perenni. A questo punto vi chiedo: è questo quello che vogliamo? Vogliamo dei figli nemici per tutta la vita? Vogliamo vivere e morire accompagnati dalla loro rabbia e dal loro rancore?
- Pattern di accettazione. “Sì papà farò come mi dici/suggerisci tu, l’importante è che tu mi voglia bene. Cercherò di essere perfetto come piace a te”. Un perfezionismo che spesso diventa una costante della loro vita, la ricerca continua di essere perfetti per piacere agli altri piuttosto che a se stessi. Le loro idee, le loro opinioni, i loro contributi inespressi però non spariscono: marciscono divorando la loro autostima, facendoli soffrire in futuro di ansia, depressioni, disordini alimentari, rabbia, sensi di colpa, risentimento e dolore. Risentimento verso noi e il mondo crudele, colpevoli di avergli negato la possibilità di realizzarsi e diventare se stessi. Ai loro occhi noi siamo coloro che non gli hanno permesso di perseguire la loro missione nel mondo! Il nostro giudizio in maniera sottile li ha imbrigliati in una gabbia. Sì, una gabbia, perché non c’è libertà dietro le sbarre invisibili della ricerca di approvazione. I nostri figli sono diventati prigionieri della paura di essere giudicati.
Qualcuno di voi adesso si starà chiedendo: sì vabbè, abbiamo capito, ma quale è la soluzione? Purtroppo non esiste una soluzione magica alla nostra tentazione del giudizio. Una possibilità però l’abbiamo: ricordarci sempre di essere gentili nei confronti del ragazzino o della ragazzina che vive ancora dentro di noi. Ricordarci come eravamo noi alla loro età, cosa provavamo, cosa ci faceva battere il cuore.
Quel ragazzino, se lo ascoltiamo, ci potrebbe ricordare di amare i nostri figli in modo incondizionato, ci potrebbe aiutare a combattere il nostro desiderio di avere dei figli perfetti: i figli che abbiamo sempre desiderato. Un ricordo che aiuterebbe la nostra consapevolezza ad illuminare e riconoscere i principali ostacoli ad amare in modo incondizionato: la vergogna e la paura. La vergogna (come sensazione dolorosa di avere dei figli a nostro parere difettosi, indegni di amore e di essere accettati dalla società) devi riconoscerla. E’ importante riconoscerla per poterne parlare, perché la vergogna spesso sparisce parlandone. E se non sparisce, la vergogna diventa contagiosa, contagia i nostri figli che diventeranno qualunque cosa noi desideriamo pur di allontanare il pensiero di non essere abbastanza, di non piacere, di non essere perfetto. E’ questo quello che desideriamo?
Se la risposta è NO, allora abbiamo solo una possibilità per evitarlo: aiutare i nostri figli ad essere autentici, ad uscire dalla nostra e dalla loro zona di confort, aiutarli a diventare CORAGGIOSI perché ci vuole coraggio ad essere autentici: potrebbe voler dire farsi del male, non essere accettati, essere criticati. E’ facile essere criticati quando non si è un prodotto standard, quando si è diversi da come la società ci vuole. Ma anche il coraggio è contagioso e solo se noi saremo coraggiosi potranno esserlo anche i nostri figli. Loro sono l’esempio che noi diamo. Dobbiamo affrontare la possibilità della loro sofferenza, supportare la loro autenticità. La loro vulnerabilità è un rischio che dobbiamo accettare nell’immediato per avere dei figli forti, autentici e contenti della loro vita in futuro. E’ rischioso, ma credo che sia ancora più rischioso nascondere i loro doni al mondo.
Cari genitori, coltivare l’accettazione non è un tentativo da fare una volta ogni tanto, non è un’opzione, è una priorità. Essere gentili con loro, affettuosi e comprensivi quando soffrono, falliscono e si sentono inadeguati, accettare il loro dolore evitandoli di flagellarli con le nostre critiche. Nel profondo loro vogliono solo togliersi la maschera per essere VERI e IMPERFETTI.
Vorrei terminare questo articolo, che spero abbia portato un po’ di consapevolezza nelle nostre azioni, citando uno degli ultimi pezzi del mio libro “Bravo…continua così”. In questo passo è il padre di Fabrizio sul letto di morte che parla al figlio:
- Ricordo ancora come ti brillavano gli occhi quando da bambino ti dicevo “Bravo… continua così”. Eri assetato di attenzioni ed io lo avevo capito; con quei “Bravo… continua così” ti facevo fare quello che volevo. Fabrì… ho approfittato di quella sete senza tenere in considerazione le tue esigenze. Quei “Bravo.. continua così” erano il mio mezzo per non farti seguire le tue passioni e soddisfare le mie. Mi spiace Fabrì, mi spiace. Potrei scusarmi dicendo che ero inconsapevole, ma questo non basta per giustificare il mio egoismo. Ho sempre pensato, però, che la strada che ti avevo tracciato fosse la migliore, non solo per me ma anche per te. –
Non siamo noi genitori a scegliere la strada dei nostri figli, noi siamo solo dei coach al loro servizio per accompagnarli sulla strada che loro hanno scelto liberamente di percorrere, senza PAURA DI ESSERE GIUDICATI.