Si può essere felici ed aver paura? Essere invasi dalla gioia, ma timorosi di viverla pienamente?
Per alcuni di voi la risposta è NO, assolutamente NO. Voi quando siete felici non avete paura di esserlo, vivete ogni singola stilla di quel boato di emozioni che provoca una felicità piena. Sentite, pensate ed agite da persone felici senza paura di farlo vedere, di mostrarvi illuminati dalla luce che solo una felicità pienamente vissuta accende.
Se appartenete a questo gruppo di persone, potete terminare di leggere questo articolo, non è a voi che si rivolge. Voi non ne avete bisogno! Questo articolo, come recenti studi mostrano, si rivolge all’altro 80% di persone che hanno ammesso di non riuscire a vivere una felicità piena, che rifuggono dal mostrare la loro gioia, che frenano quando qualcosa di bello accade o, peggio ancora, che non riescono a riconoscere le cose che li rendono felici.
Non vi nascondo che quando ho letto questi dati, sono rimasto alquanto sorpreso, più che sorpreso direi rattristato. L’articolo non parlava dell’origine di quel blocco. Non riuscivo a pensare come fosse possibile limitare la felicità, non riuscivo a capire cosa bloccasse tante persone dall’essere semplicemente felici. Ho sempre avuto l’idea che la felicità fosse un po’ come l’amore, come il sesso: non può essere vissuta a metà. Viverla a metà sarebbe come non viverla, come spezzarne la potenza. Un coitus interruptus che non porta appagamento e lascia con un retrogusto di insoddisfazione.
Ho passato giorni ad interrogarmi per cercare di dare un senso a quei dati, per rispondere alla domanda: ma cosa ci blocca veramente? Cosa ci impedisce di vivere una felicità piena?
Devo dire che questo processo di indagine è stato difficile e, a tratti, anche doloroso: ho dovuto ammettere a me stesso che nonostante le mie convinzioni anche io mi sono spesso bloccato in passato quando ho avuto l’occasione di vivere una felicità piena.
La prima risposta che mi sono dato, una delle poche con un senso, è stata collegare la nostra riluttanza a vivere pienamente la felicità con la paura di mostrarci fragili. Mostrarci felici vuol dire mostrarci vulnerabili, vuol dire far vedere qualcosa che possiamo perdere ed è proprio la possibilità della perdita e della conseguente sofferenza che ci blocca dall’onorare tutto ciò che ci rende felici. Diciamoci la verità: quante volte abbiamo detto o sentito, sto bene ma è meglio non dire nulla perché ho paura che tutto possa finire, oppure è così bello che non mi sembra vero. Quante occasioni di essere pienamente felici che abbiamo perso…..
Un altro motivo per cui spesso non viviamo pienamente la felicità è perché qualcuno o qualcosa ci ha convinto che la felicità va vissuta a condizione che sia fatta in un certo modo. La felicità come prodotto preconfezionato. Da quando siamo nati, infatti, ci hanno detto, suggerito quando e come essere felici. Abbiamo i nostri stereotipi di felicità, quelli che abbiamo ereditato, vissuto, gli unici che valga la pena onorare: la macchina più potente, l’aumento di stipendio, la vacanza alle Maldive. Felicità materiale da poter acquistare, misurare e soprattutto onorare perché così fan tutti. Una felicità da esprimere solo se rapportata ad una misura altrimenti si rischia di apparire stupidi, fuori dal tempo e dagli schemi; si rischia di sembrare unici e diversi. E ormai l’abbiamo capito che la diversità fa paura: la massa ci chiama, ci dice continuamente cosa celebrare e cosa no, cosa è accettabile e cosa dobbiamo rifiutare. Di fronte alla massa non possiamo far altro che obbedire, c’è troppa paura ad uscire fuori dal gregge.
Ma quale è il prezzo da pagare per tutto ciò? Quale è il prezzo di non riconoscere, di non soffermarsi a celebrare quei piccoli istanti di gioia che accadono ogni giorno ad ognuno di noi? Che so… l’abbraccio di nostro figlio, una passeggiata in un parco, la nostra squadra di calcio che vince una partita, un caffè con un amico, il nostro cagnolino che ci fa le feste. Potrebbe forse essere quello di vivere una vita a metà? Divenire responsabili di una partecipazione attiva al coitus interruptus della vita?
Ma avete mai provato a guardarvi dell’esterno? Quante volte il vostro clone si sofferma durante la giornata a contemplare la bellezza di ciò che lo circonda? Quante volte si sofferma a vivere intensamente quei piccoli momenti di gioia che accadono ogni giorno? Scommetto che non è interessato a quei momenti, scommetto che li lascia andare perché non sono il milione di euro che sperava di vincere.
Si è mai chiesto quel clone quante volte vincerà un milione di euro nella sua vita? Si è mai chiesto quante volte andrà alle Maldive? Sono sicuro che al vostro clone, durante la giornata, gli capitano tante cose che lo rendono felice, ma non si sofferma a festeggiarle perché aspetta qualcosa in più, aspetta qualcosa che la massa festeggerebbe. Festeggiare quelle cose futili lo fa sembrare uno stupido di fronte a tutti quelli che sono sempre seri, con la fronte aggrottata, a rimuginare la prossima cosa da fare. Ritarda la gioia del momento per viverne una più grande in futuro. E qualora quell’evento tanto atteso dovesse capitare, deve stare attento, deve festeggiare con discrezione perché farlo con troppa enfasi vorrebbe dire esporsi alla paura della perdita come si diceva all’inizio.
La cosa più triste è che spesso quel clone non ha neanche il tempo di essere felice: deve andare alla posta a pagare le bollette, deve finire un documento per non perdere il bonus di produzione annuale, deve correre al supermercato per non far scadere l’offerta del tre per due sugli spaghetti della Barilla. C’è qualcosa che lo fa star bene in quel momento, ma non ha tempo di viverla: un cielo azzurro è possibile vederlo ogni giorno, ma l’offerta della pasta dura fino a stasera.
Ci sarebbe tanto da dire ancora ancora, le interpretazioni potrebbero allungarsi a dismisura, ma la domanda rimarrebbe sempre la stessa: vale la pena vivere cercando l’isola che non c’è?
Per concludere, come di consueto, riporto un piccolo brano del mio libro “Bravo…continua così” in cui Fabrizio, il protagonista principale, medita sulla sua nuova vita dopo aver deciso di onorare i piccoli momenti di felicità e di non aspettare più la felicità preconfezionata.
“Ho scelto di vivere facendomi guidare dall’etica del mio essere, quella che mi fa stare bene quando la gente intorno a me sorride perché l’ho fatta sorridere. Sono quelli i momenti in cui sono felice, sono in risonanza con quei sorrisi, vibro di gioia. Oltre ovviamente alla mia famiglia, ci sono altre cose che mi rendono felice: il mio parco, la mia panchina. E’ su quella panchina che mi ascolto, che scrivo quello che sento e sono in pace. E’ su quella panchina che ho scoperto quanta gioia ci possa essere in ogni piccolo momento di felicità”